Chéri Samba, Le marché de l'art, olio su tela. Se n'è accorta anche la Biennale di Venezia: l'arte contemporanea africana è un fenomeno in fortissima ascesa che conquista sempre più interesse. Così, la 52° edizione della manifestazione d'arte dei giorni nostri più famosa al mondo (attualmente in corso) ha dedicato, con un interessante progetto sperimentale voluto dal curatore Robert Storr, un intero padiglione all'Africa, allo scopo di portare gli artisti più rappresentativi di questo continente sulla scena internazionale.
I segnali verso un interesse per la produzione artistica proveniente da quest'area geografica, a dire il vero, non sono una novità della Biennale. Importanti input vengono da altre entità culturali internazionali: già in Inghilterra e in Germania ci si è accorti da tempo del valore dell'arte africana. Ma lo spazio concesso dalla rassegna veneziana è una conferma di grandissima importanza.
Le modalità con cui la Biennale ha creato il suo "spazio Africa" sembrano già un simbolo della difficoltà di crescita e della voglia di riscatto del grande continente e sono, forse, il modo migliore per esporre questi artisti che parlano delle contraddizioni e della difficile situazione - ma non priva di speranza - del loro territorio. Storr ha promosso un concorso per la progettazione di uno spazio espositivo autofinanziato rappresentativo della situazione attuale - artistica e umana - dell'Africa. E' stato scelto il progetto di Fernando Alvim e Simon Njami, che hanno portato a Venezia i quadri della Sindika Dokolo African Collection of Contemporary Art (http://www.sindikadokolofoundation.org/) di Luanda (Angola).
I riconoscimenti della Laguna alla creatività africana, in questa edizione 2007, non si fermano però qui. Il Leone d'Oro alla carriera è stato assegnato, per la prima volta, ad un africano: Malick Sibidé, pittore e musicista proveniente dal Mali. Si tratta anche in questo caso di una conferma del fatto che l'arte del Continente Nero va assolutamente tenuta in grande considerazione.
La crescita di questi artisti sul piano internazionale è, infatti, impressionante. L'Europa, negli ultimi anni, ha ospitato numerosissime mostre dedicate a questo filone creativo. E proprio in Europa, più precisamente a Ginevra, si trova la più grande collezione esistente al mondo di opere d'arte contemporanee di artisti africani: la Contemporary African Art Collection (http://www.caacart.com/).
Creata 15 anni fa dal collezionista italiano Jean Pigozzi e curata da André Magnin, la CAAC comprende alcune migliaia di pezzi ed è un nucleo attivo nella promozione dell'arte africana contemporanea, attraverso la produzione di mostre, eventi e pubblicazioni.
Il più grande successo realizzato, fino a questo momento, dalla CAAC è senza dubbio l'esposizione "Popular Painting" from Kinshasa, in corso al quinto piano della Tate Modern di Londra (http://www.tate.org.uk/modern/) dal 28 marzo 2007 al 1° marzo 2008. Espongono qui cinque artisti della cosiddetta School of Popular Painting, il movimento pittorico costituito alla metà degli anni Settanta dal pittore nato in Congo nel 1956 Chéri Samba - uno dei principali esponenti della pittura africana - a cui si sono aggiunti Moke (1950-2001), Chéri Chérin (n. 1955), Bodo (n. 1953) e Cheik Ledy (1962-1997), fratello minore di Chéri Samba.
La mostra attualmente visibile nelle sale progettate da Herzog&De Meuron, e che fa parte della grande esposizione UBS Openings: Tate Modern Collection, è la prima rassegna dedicata ad artisti che sono nati e che lavorano in Africa e che, quindi, ne rappresentano lo spirito più intimo e incontaminato. Questo evento sta portando alla ribalta Chéri Samba, Chéri Chérin e colleghi e ne sta facendo salire alle stelle le quotazioni sul mercato.
Un esempio per tutti. Negli ultimi sei anni le sue stime sul mercato si sono quintuplicate e oggi i suoi dipinti su carta valgono almeno 2.000 euro, quelli su tela dai 6.000 (piccolo formato) o 10.000 euro in su (medio formato). Le opere migliori raggiungono prezzi almeno tre volte più alti. Il top lot personale di Chéri Samba è stato raggiunto alla casa d'aste Calmels Cohen di Parigi il 9 giugno 2005: si tratta del quadro L'espoir fait vivre, venduto per circa 47.000 dollari. Aprés le 11 Septembre, 2001 è stato, invece, acquistato per 35.000 dollari. Le sue opere sono reperibili presso la galleria che lo rappresenta, la Peter Herrmann di Berlino (http://galerie-herrmann.com/).
Ed è in arrivo un altro grande evento di portata internazionale destinato ad accendere i riflettori sugli artisti contemporanei provenienti dal Continente Nero, proposti dalla collezione Pigozzi. Dal 6 ottobre fino al 3 febbraio al Lingotto di Torino si terrà la mostra Why Africa?, negli spazi della Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli.
Ma quali sono le peculiarità contenutistiche e stilistiche di questa classe pittorica che, dopo Gran Bretagna e Germania, sta conquistando anche l'Italia? E' un'Africa corrotta, povera, violenta quella rappresentata dai nuovi artisti africani, un continente pieno di contraddizioni, ma che non rinuncia alla sua allegria e alla sua fantasia. Si crea, così, un duplice piano nei quadri di Samba, Chérin, Ledy, ecc.: i soggetti parlano, molto spesso, di situazioni drammatiche, di sanguinosi fatti di cronaca e soprattutto di spregevoli situazioni politiche costruite dall'ingiustizia, dalla corruzione e dalla violenza. Tutto questo, però, invece che con toni cupi e pessimisti, è dipinto con tinte solari e brillanti, con le linee semplici e le forme "ingenue" tipiche della pittura naïf. Non c'è modo migliore per esprimere figurativamente ciò che è oggi l'Africa: la sua situazione politica e lo spirito innato della sua popolazione.
I quadri della School of Popular Painting trattano di povertà, fame, malattie, AIDS, costumi popolari, ingiustizia, differenze sociali, incidenza dei media, cronaca nera. E, naturalmente, tanta politica, trattata con i toni ironici e provocatori della semplicità naïf.
La situazione politica è il tema prediletto di Chéri Chérin (vero nome Joseph Kinkonda), che vive e lavora nel quartiere Ndjili a Kinshasa. L'impronta della cultura popolare dei suoi quadri viene dai suoi lavori giovanili per manifesti e murales, che realizzava nella sua città natale mentre frequentava l'Academie des Beaux Arts di Kinshasa.
Ma c'è anche il mercato dell'arte - che pure li ha resi celebri - nelle mire di questi artisti. Chéri Samba, ad esempio nel dipinto Le marché de l'art, non risparmia critiche a quel meccanismo economico spesso velato di puro cinismo e opportunismo, capace di creare illusioni e trasformare un pittore in una sorta di star.
E star, o quasi, possono ormai considerarsi Chèri Samba, Chéri Chérin, Moke, Bodo e Cheik Ledy, grazie all'azione di collezionisti e curatori che hanno compreso il valore del loro messaggio e la potenza espressiva del loro linguaggio pittorico. Ma la CAAC di Jean Pigozzi ha ancora in serbo numerosi prodotti made in Africa di grande interesse, che possono salire la scala del mercato nei prossimi tempi.
George Lilanga (Tanzania) crea nelle due e nelle tre dimensioni le sue figurine dipinte con colori shoking, così buffe e grottesche nella loro connotazione moderna. Zinsou presenta una pittura "infantile" che lo somigliare ad una sorta di Basquiat, mentre i grassi personaggi del keniota Richard Onyango richiamano quelli di Fernando Botero.
Ma c'è spazio anche per i sentimenti più tradizionali nella nuova pittura africana. L'etiope Gedewon dipinge talismani con figure e poesie, mentre la sudafricana Esther Mahlangu realizza composizioni geometriche dai colori brillanti e dalle forme tipicamente tradizionali.
Figure ironiche e naïf popolano anche il settore scultoreo. Tra gli esponenti principali ci sono John Goba, Emile Guebehi e Nicolas Damas. Le statuette mobile di Efiaimbelo sembrano souvenirs, mentre Bodys Isek Kingelez realizza modelli con carta, cartone e plastica e Titos Mabota utilizza materiali di recupero.
Infine, un certo rilievo, quantomeno come testimonianza dello spirito africano, è da attribuire anche alla fotografia del Continente Nero. Depara, Malick Sibide e Sydou Keita con i loro scatti rétro in bianco e nero restano di particolare interesse.
I segnali verso un interesse per la produzione artistica proveniente da quest'area geografica, a dire il vero, non sono una novità della Biennale. Importanti input vengono da altre entità culturali internazionali: già in Inghilterra e in Germania ci si è accorti da tempo del valore dell'arte africana. Ma lo spazio concesso dalla rassegna veneziana è una conferma di grandissima importanza.
Le modalità con cui la Biennale ha creato il suo "spazio Africa" sembrano già un simbolo della difficoltà di crescita e della voglia di riscatto del grande continente e sono, forse, il modo migliore per esporre questi artisti che parlano delle contraddizioni e della difficile situazione - ma non priva di speranza - del loro territorio. Storr ha promosso un concorso per la progettazione di uno spazio espositivo autofinanziato rappresentativo della situazione attuale - artistica e umana - dell'Africa. E' stato scelto il progetto di Fernando Alvim e Simon Njami, che hanno portato a Venezia i quadri della Sindika Dokolo African Collection of Contemporary Art (http://www.sindikadokolofoundation.org/) di Luanda (Angola).
I riconoscimenti della Laguna alla creatività africana, in questa edizione 2007, non si fermano però qui. Il Leone d'Oro alla carriera è stato assegnato, per la prima volta, ad un africano: Malick Sibidé, pittore e musicista proveniente dal Mali. Si tratta anche in questo caso di una conferma del fatto che l'arte del Continente Nero va assolutamente tenuta in grande considerazione.
La crescita di questi artisti sul piano internazionale è, infatti, impressionante. L'Europa, negli ultimi anni, ha ospitato numerosissime mostre dedicate a questo filone creativo. E proprio in Europa, più precisamente a Ginevra, si trova la più grande collezione esistente al mondo di opere d'arte contemporanee di artisti africani: la Contemporary African Art Collection (http://www.caacart.com/).
Creata 15 anni fa dal collezionista italiano Jean Pigozzi e curata da André Magnin, la CAAC comprende alcune migliaia di pezzi ed è un nucleo attivo nella promozione dell'arte africana contemporanea, attraverso la produzione di mostre, eventi e pubblicazioni.
Il più grande successo realizzato, fino a questo momento, dalla CAAC è senza dubbio l'esposizione "Popular Painting" from Kinshasa, in corso al quinto piano della Tate Modern di Londra (http://www.tate.org.uk/modern/) dal 28 marzo 2007 al 1° marzo 2008. Espongono qui cinque artisti della cosiddetta School of Popular Painting, il movimento pittorico costituito alla metà degli anni Settanta dal pittore nato in Congo nel 1956 Chéri Samba - uno dei principali esponenti della pittura africana - a cui si sono aggiunti Moke (1950-2001), Chéri Chérin (n. 1955), Bodo (n. 1953) e Cheik Ledy (1962-1997), fratello minore di Chéri Samba.
La mostra attualmente visibile nelle sale progettate da Herzog&De Meuron, e che fa parte della grande esposizione UBS Openings: Tate Modern Collection, è la prima rassegna dedicata ad artisti che sono nati e che lavorano in Africa e che, quindi, ne rappresentano lo spirito più intimo e incontaminato. Questo evento sta portando alla ribalta Chéri Samba, Chéri Chérin e colleghi e ne sta facendo salire alle stelle le quotazioni sul mercato.
Un esempio per tutti. Negli ultimi sei anni le sue stime sul mercato si sono quintuplicate e oggi i suoi dipinti su carta valgono almeno 2.000 euro, quelli su tela dai 6.000 (piccolo formato) o 10.000 euro in su (medio formato). Le opere migliori raggiungono prezzi almeno tre volte più alti. Il top lot personale di Chéri Samba è stato raggiunto alla casa d'aste Calmels Cohen di Parigi il 9 giugno 2005: si tratta del quadro L'espoir fait vivre, venduto per circa 47.000 dollari. Aprés le 11 Septembre, 2001 è stato, invece, acquistato per 35.000 dollari. Le sue opere sono reperibili presso la galleria che lo rappresenta, la Peter Herrmann di Berlino (http://galerie-herrmann.com/).
Ed è in arrivo un altro grande evento di portata internazionale destinato ad accendere i riflettori sugli artisti contemporanei provenienti dal Continente Nero, proposti dalla collezione Pigozzi. Dal 6 ottobre fino al 3 febbraio al Lingotto di Torino si terrà la mostra Why Africa?, negli spazi della Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli.
Ma quali sono le peculiarità contenutistiche e stilistiche di questa classe pittorica che, dopo Gran Bretagna e Germania, sta conquistando anche l'Italia? E' un'Africa corrotta, povera, violenta quella rappresentata dai nuovi artisti africani, un continente pieno di contraddizioni, ma che non rinuncia alla sua allegria e alla sua fantasia. Si crea, così, un duplice piano nei quadri di Samba, Chérin, Ledy, ecc.: i soggetti parlano, molto spesso, di situazioni drammatiche, di sanguinosi fatti di cronaca e soprattutto di spregevoli situazioni politiche costruite dall'ingiustizia, dalla corruzione e dalla violenza. Tutto questo, però, invece che con toni cupi e pessimisti, è dipinto con tinte solari e brillanti, con le linee semplici e le forme "ingenue" tipiche della pittura naïf. Non c'è modo migliore per esprimere figurativamente ciò che è oggi l'Africa: la sua situazione politica e lo spirito innato della sua popolazione.
I quadri della School of Popular Painting trattano di povertà, fame, malattie, AIDS, costumi popolari, ingiustizia, differenze sociali, incidenza dei media, cronaca nera. E, naturalmente, tanta politica, trattata con i toni ironici e provocatori della semplicità naïf.
La situazione politica è il tema prediletto di Chéri Chérin (vero nome Joseph Kinkonda), che vive e lavora nel quartiere Ndjili a Kinshasa. L'impronta della cultura popolare dei suoi quadri viene dai suoi lavori giovanili per manifesti e murales, che realizzava nella sua città natale mentre frequentava l'Academie des Beaux Arts di Kinshasa.
Ma c'è anche il mercato dell'arte - che pure li ha resi celebri - nelle mire di questi artisti. Chéri Samba, ad esempio nel dipinto Le marché de l'art, non risparmia critiche a quel meccanismo economico spesso velato di puro cinismo e opportunismo, capace di creare illusioni e trasformare un pittore in una sorta di star.
E star, o quasi, possono ormai considerarsi Chèri Samba, Chéri Chérin, Moke, Bodo e Cheik Ledy, grazie all'azione di collezionisti e curatori che hanno compreso il valore del loro messaggio e la potenza espressiva del loro linguaggio pittorico. Ma la CAAC di Jean Pigozzi ha ancora in serbo numerosi prodotti made in Africa di grande interesse, che possono salire la scala del mercato nei prossimi tempi.
George Lilanga (Tanzania) crea nelle due e nelle tre dimensioni le sue figurine dipinte con colori shoking, così buffe e grottesche nella loro connotazione moderna. Zinsou presenta una pittura "infantile" che lo somigliare ad una sorta di Basquiat, mentre i grassi personaggi del keniota Richard Onyango richiamano quelli di Fernando Botero.
Ma c'è spazio anche per i sentimenti più tradizionali nella nuova pittura africana. L'etiope Gedewon dipinge talismani con figure e poesie, mentre la sudafricana Esther Mahlangu realizza composizioni geometriche dai colori brillanti e dalle forme tipicamente tradizionali.
Figure ironiche e naïf popolano anche il settore scultoreo. Tra gli esponenti principali ci sono John Goba, Emile Guebehi e Nicolas Damas. Le statuette mobile di Efiaimbelo sembrano souvenirs, mentre Bodys Isek Kingelez realizza modelli con carta, cartone e plastica e Titos Mabota utilizza materiali di recupero.
Infine, un certo rilievo, quantomeno come testimonianza dello spirito africano, è da attribuire anche alla fotografia del Continente Nero. Depara, Malick Sibide e Sydou Keita con i loro scatti rétro in bianco e nero restano di particolare interesse.
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