Dal 26 settembre la guida facile e sicura per acquistare opere via web e in fiera senza spendere più di 6.000 euro
È dedicata soprattutto ai giovani che cercano le migliori opportunità per iniziare la loro collezione. Ma è anche uno strumento utile per chi, essendo già collezionista, ama sondare il mercato in tutte le direzioni.
A partire dal 26 settembre: Starting Collection è una grande guida via web per selezionare opere originali e multipli d'arte moderna e contemporanea, tutte di costo non superiore ai 6.000 euro (e con pagamento anche dilazionato).
Sono opere proposte dai galleristi partecipanti ad ArtVerona 2008, che poi vengono pure evidenziate all'interno dei relativi stand tramite un'apposita segnaletica, durante i giorni della fiera. Due quindi le possibilità. L'una, dal 26 settembre: identificare via web l'artista e l'opera di interesse, nonché la galleria che li propone. L'altra, dal 16 al 20 ottobre, durante tutto il periodo di ArtVerona: verificare l'opera in fiera e incontrarsi con il gallerista.
www.startingcollection.it
lunedì 13 ottobre 2008
domenica 20 gennaio 2008
Ceramiche d'autore in mostra e all'asta a Mantova.
Il grande artista danese Asger Jorn la chiamava “la fabbrica dei sogni”, sogni di ceramica trasformati in realtà grazie allo sposalizio tra imprenditoria artigianale e grande arte contemporanea italiana e internazionale, che oggi si mostrano al pubblico nell’esposizione dedicata alla fabbrica di ceramiche San Giorgio di Albisola, inaugurata il 19 gennaio alla Casa del Mantegna di Mantova e visitabile fino al 17 febbraio. 150 pezzi d’autore plasmati nel laboratorio ligure e portati a Mantova, insieme alla Casa del Mantegna, dall’Associazione Amici di Palazzo Te e dei Musei Mantovani e dalla Delegazione Casalasco Viadenese, che hanno affidato al curatore Flavio Arensi la selezione delle opere e l’impostazione del percorso espositivo.
A. Jorn, Piatto (1972), maiolica graffita.
La fabbrica dei sogni. Grandi artisti alle ceramiche San Giorgio di Albisola prende il titolo proprio dalla definizione coniata dal protagonista di uno dei più riusciti incontri d’arte costruiti alla San Giorgio, con cui Jorn ha collaborato dal ’59 fino alla morte, realizzando alcuni assoluti capolavori come i piatti e le sculture in terracotta esposti in mostra.
W. Lam, Piatto (1977), terracotta smaltata e graffita.
Fabbrica di sogni la San Giorgio, ma anche di passioni e di amicizie saldate dalla ricerca sulla materia duttile. Giovanni Poggi, che festeggia quest’anno il cinquantesimo anniversario della sua fabbrica, lavora ancora tutto il giorno nel suo laboratorio, come dimostrano le mani ruvide e le tracce di colore che vi hanno lasciato il segno.
Proprio come faceva quando ospitava Jorn e tanti altri grandi nomi dell’arte contemporanea e con loro progettava quelli che sarebbero diventati splendidi esempi di un’arte troppo speso considerata - a torto - “arte minore”. Perchè soffermandosi sui piatti, i vasi, i pannelli e le sculture in mostra si fa davvero fatica a considerare la ceramica una tecnica inferiore alle forme d’arte più diffuse. In realtà, seppure non ancora abbastanza studiata e apprezzata nel nostro Paese, <arte maggiore” - come sentenzia Arensi - e ha rappresentato un grande contributo per il rinnovamento dell’arte in Italia>>.
Fabbrica di grande arte, dunque, quella di Poggi. I torni della San Giorgio hanno visto passare chi ha contribuito incisivamente a fare la storia della pittura, della scultura, della grafica della seconda metà del Novecento, toccando un po’ tutti i movimenti che l’hanno segnata. Alla Casa del Mantegna ci sono i “sogni” del grande surrealista cubano Wifredo Lam con la sua figurazione di sapore primitivo, dei “Cobra” Asger Jorn e Serge Vandercam, del nuclearista Gianni Dova, del secondo futurista Farfa. E poi una bellissima testa femminile di Lucio Fontana e lavori di Alik Cavaliere, Eugenio Carmi, Agenore Fabbri, Pietro Consagra, Ugo Nespolo, Milena Milani, Lele Luzzati, Aligi Sassu, Emilio Tadini, Ernesto Treccani.
Oltre ad artisti dimenticati ma di valore, di cui Flavio Arensi, nell’elaborare questa mostra, ha voluto recuperare e valorizzare la produzione, come nel caso dello scultore torinese Sandro Cherchi. E ancora le nuove generazioni dell’arte europea che oggi mantengono viva la vocazione artistica della fabbrica di Albisola, come il tedesco Franz Hizler, che per Giovanni Poggi è l’erede di Jorn.
Nella sua storia la San Giorgio ha ospitato 170 artisti da tutto il mondo che, nei laboratori interagivano con gli artigiani della ceramica, apprendendo e insegnando e arrivavano a diventare parte integrante non solo della fabbrica ma anche della comunità albisolese.
Un tipo di rapporto tra arte e impresa che al giorno d’oggi non si trova più. La San Giorgio è una fabbrica di sogni che vanno scomparendo, sempre più emarginati dalle dinamiche del mondo dell’arte odierno e del suo mercato. Perchè Giovanni Poggi non è soltanto un mecenate, non solo un esempio di imprenditoria sensibile e illuminata, ma soprattutto un vero amante dell’arte. Un sognatore.
La fabbrica dei sogni. Grandi artisti alle ceramiche San Giorgio di Albisola è aperta fino al 17 febbraio alla Casa del Mantegna di Via Acerbi n. 47 (MN) da martedì a sabato dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18, domenica e festivi dalle 10 alle 18.
Sabato 9 febbraio si inaugura, invece, una seconda sezione della mostra dedicata alle ceramiche San Giorgio, questa volta all'interno della chiesa della Madonna della Vittoria in Via Monteverdi n.1 a Mantova. La fabbrica San Giorgio. Le Ceramiche San Giorgio per il progetto Polis non è soltanto un evento culturale ma anche un progetto benefico, realizzato in collaborazione con la cooperativa sociale onlus Agorà di Rivarolo Mantovano (MN).
Il ricavato dell'asta che si terrà alla chiusura della mostra, il 16 marzo, infatti, servirà a finanziare il progetto della onlus per la costruzione di un centro per disabili in provincia di Mantova. I partecipanti all'asta di domenica 16 marzo (ore 16,30) potranno aggiudicarsi le 60 opere esposte in mostra, che sono state realizzate dai numerosi artisti che hanno collaborato in passato o collaborano tuttora con la Ceramiche San Giorgio e, quindi, generosamente donate dal patron del laboratorio ligure Giovanni Poggi.
Le valutazioni degli oggetti vanno dai 500 fino ai 3500 euro, stima dei pezzi più pregiati: una scultura in terracotta smaltata vulcanica realizzata dallo scultore torinese Sandro Cherchi nel 1993 e un piatto blu del "Cobra" Serge Vandercam in terracotta smaltata del 2002.
Saranno messi all'asta: due sculture di Filippo Ape, un piatto di Mario Arlati, due vasi di Giancarlo Bargoni, un piatto di Franco Bruzzone, una scultura e un vaso di Pietro Bulloni, un piatto di Aurelio Caminati e uno di Romano Campagnoli, quattro vasi del tedesco Peter Casagrande, una scultura di Sandro Cherchi, un piatto di Mauro Chessa, una scultura di Mauro Corbani, due piatti di Stefano D'Amico e uno di Bartolomeo Delfino, una scultura dell'olandese Jacqueline De Jong, un piatto di Ettore De Sanctis, due ciotole in terracotta ingobbiata e ossidi del toscano Agenore Fabbri, un vaso e un piatto di Luciano Fiannacca, un piatto di G. Celano Giannici, uno di Pino Grioni, tre vasi e un piatto di Ernst Heckelmann, un piatto e un vaso di Franz Hizler, due piastre in terracotta di Enzo L'Acqua, un piatto di Giorgio Laveri, una scultura del danese Nes Lerpa, un vaso di Marcello Lo Giudice, un vaso e un piatto di Giorgio Moiso, un vaso di Angelo Molinari, un piatto di Nidoljko Pecanac del 1968, un vaso e un piatto di Stefano Pizzi, un piatto di Francesco Preverino, un vaso di Silvana Priametto e due plasmati e dipinti a quattro mani da Giovanni Poggi e M. Uffreduzzi nel 1973, due piatti di Giorgio Robustelli, uno di Dario Rossi, uno di Luiso Sturla, uno di Giuseppe Tinti, uno di Paolo Valle, uno delll'artista danese Serge Vandercam, una sfera di Andrea Zavattaro e un piatto realizzato dalle allieve del corso di decorazione della San Giorgio.
Le opere saranno tutte esposte alla Madonna della Vittoria dal 9 febbraio al 16 marzo. Orari di apertura: da martedì a venerdì dalle 15.30 alle 18.30, sabato e domenica dalle 10 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 18.30. Chiuso venerdì 22 febbraio.
Il biglietto d'ingresso per la mostra alla Casa del Mantegna dà diritto alla visita anche alla sezione alla Madonna della Vittoria.
Informazioni: casadelmantegna@provincia.mn.it
martedì 15 gennaio 2008
I big dell'arte contemporanea all'asta a Venezia.
Appuntamento imperdibile per i collezionisti sarà il week-end del 19 e 20 gennaio, quando la sede di Venezia della Finarte, la più importante casa d'aste made in Italy, proporrà negli spazi di Palazzo Correr più di 900 opere, tra i cui spiccano alcuni pezzi da novanta della storia dell'arte contemporanea.
Uno spettro amplissimo e variegato della produzione artistica - italiana ed europea soprattutto - del Novecento, con alcune punte di diamante rappresentate da artisti di primissimo livello. I grandi nomi non sono pochi, ma i prezzi non sono tutti proibitivi. In asta ci saranno, infatti, numerosi esempi di grafica d'autore a tiratura limitata, opere firmate dai più grandi rappresentanti dell'arte europea e mondiale: le litografie di Victor Vasarely, Sebastian Matta, Asger Jorn, Salvador Dalì, Juan Mirò, solo per fare qualche esempio.
Il ricco catalogo propone anche pittori in crescita, che stanno dimostrando la loro qualità con una produzione vivace e originale come il veneziano Klume (http://www.klume.com/), classe 1962. Sue sono 11 delle opere presenti nella due giorni d'asta. Composizioni ottenute con pennellate decise e vibranti, dai colori densi e brillanti, costantemente in bilico fra astrazione pura e semi-figurazione, come nel caso dei quattro oli su tela del polittico The Blue Zone o di Alive flowers. Tutti i quadri di Klume sono lotti ad offerta libera.
L'asta di Finarte punta molto sull'opera del francese Martial Raysse, nato nel 1936 a Nizza, pittore astratto prima e Pop poi, dopo un soggiorno in USA. Tra i fondatori del Nouveau Rèalisme francese, è stato anche cineasta e, insieme a Niki de Saint-Phalle e Jean Tinguely, ha firmato le scenografie per un balletto di Roland Petit. Il lotto 899 è la sua Ulysses, why do you come so late poor fool: tableau à géométrie variable, 12 acrilici su tela che si trasformano in pannelli componibili e costruiscono l'opera per accostamento.
I masterpieces dell'asta Finarte sono firmati da grandissimi nomi dell'arte europea del novecento. Sono in catalogo due opere tarde di Marc Chagall, entrambe realizzate con tecnica mista su carta: Coupe de bouquet (1973), stimato 220-250.000 euro, e Senza Titolo, 85-100.000 euro.
Quotazioni molto elevate anche per le due opere del canadese Jean Paul Riopelle: Des Nefs d’or (1968), valutata 240-260.000 euro e Cimes (1958), altro olio su tela astratto, stimato intorno ai 160-180.000 euro.
Curiosando tra i fiori all'occhiello dell'offerta Finarte, davvero numerosi, si trova un po tutta la grande storia dell'arte europea dell'ultimo secolo. Si va dalla Metafisica di Giorgio
De Chirico all'Informale di Hans Hartung, passando per la Transavanguardia rappresentata da Francesco Clemente e il Divisionismo di Giovanni Segantini.
De Chirico all'Informale di Hans Hartung, passando per la Transavanguardia rappresentata da Francesco Clemente e il Divisionismo di Giovanni Segantini.
Altri grandi nomi: lo scultore Marino Marini, il grande futurista Fortunato Depero, Arman, Emilio Vedova, Maurice Utrillo, Mario Schifano, Enrico Baj, Felice Casorati e Ottone Rosai.
Info e catalogo su http://www.finarte.it/.
martedì 21 agosto 2007
El Anatsui
L'artista africano (è nato in Ghana e vive in Nigeria) El Anatsui si sta imponendo all'attenzione internazionale come una delle vere rivelazioni di questa 52° Biennale di Venezia. Presente in Laguna, nella mostra Pensa con i sensi - senti con la mente. L'arte del presente, con i suoi arazzi fatti con materiali di recupero, l'artista ha dimostrato come si può riprendere la più genuina tradizione africana, coniugandola alla modernità dei materiali e delle tecniche.
E. Anatsui, Congress of elders (part.). 2007.
L'originalità dei suoi arazzi composti da lattine di alluminio, creta, tessuto, legno e altri materiali di recupero ne ha fatto il più stimato scultore africano vivente e il principale artista africano della sua generazione.
Oggetti concreti e al tempo stesso improbabili. Una coperta di lattine di alluminio, una borsina "usa e getta" in formato gigante realizzata in metallo, una roccia composta da rifiuti, un muro in tronchi di legno...
La realtà si trasforma sotto le mani di El Anatsui e grazie alle sue opere possiamo guardarne gli elementi in modo nuovo, trasformati dal gioco di materiali dell'artista.
Le sue trame realizzate con materiali riciclati sono al tempo stesso oggetti poveri e preziosi grazie alla ricchezza della loro tecnica esecutiva. Le opere di El Anatsui richiamano, quindi, le necessità di un'Africa che deve obbligatoriamente inventare sé stessa, rinnovando ciò che esiste già, non buttando via nulla.
Quello del riciclo è un tema particolarmente caro agli artisti africani d'oggi. Il rispetto per l'ambiente e il recupero dei rifiuti ha assunto un'enorme valore nella ricerca creativa di altri personaggi, quali Pascale Marthine Tayou o Kay Hassan.
El Anatsui è rappresentato dalla galleria d'arte londinese The October Gallery (http://www.octobergallery.com/), ma in Italia è trattato anche da Spazio Rossana Orlandi (http://www.rossanaorlandi.com/) a Milano.
Sito ufficiale dell'artista: http://www.elanatsui.com/.
Etichette:
arte africana,
biennale di venezia,
Gallerie d'arte,
Scultura
venerdì 17 agosto 2007
Elizabeth Murray e l'eredità di Keith Haring
C'è tutta la dirompente creatività del grande pop artist americano Keith Haring negli ultimi lavori di Elizabeth Murray: i suoi colori fluo, le sue forme ironiche e divertenti da fumetto, la sua figurazione ai limiti dell'astratto.
La Murray, nata a Chicago nel 1940 e morta pochi giorni fa (il 12 agosto) nella sua casa di Manhattan, era fra gli artisti più interessanti della nuova scena newyorkese. L'influenza del grande Keith Haring nel suo lavoro è fortissima: basta osservare, ad esempio, Morning is breaking, una delle due opere realizzate nel 2006 (insieme a The new world) esposte oggi alla 52° Biennale di Venezia, nella sezione Pensa con i sensi - senti con la mente. L'arte del presente. Si tratta di due oli su tela montati su supporti in legno sagomato che, già al primo sguardo, sanno immediatamente, indubbiamente di pop art.
E. Murray, Morning is breaking, olio su tela montato su legno, 2006.
L'americana Murray ha preso come ispirazione per le sue opere il mondo dei cartoon, la fantasia di Walt Disney, la magia di oggetti, persone e animali che assumono forme, colori e posizioni insolite, come in una vignetta. In questo mondo della fantasia traduce i temi della vita domestica, delle relazioni umane, le questioni dell'umanità.
Nella sua carriera è stata anche autrice di numerosi murales, come quelli creati sulle pareti della subway di New York, nelle stazioni di Lexington Avenue e 59th Street.
Molto nota nell'ambiente artistico statunitense (lo scorso anno il MOMA le ha dedicato un'importante retrospettiva) Elizabeth Murray non ha ancora raggiunto una forte notorietà in Europa e in Italia, ma c'è da contare sul fatto che la presenza alla Biennale di quest'anno - nonché la sua recente scomparsa - attireranno l'attenzione sulla sua produzione creativa facendo salire le sue quotazioni.
L'artista era rappresentata dalla galleria d'arte di New York Pace Wildenstein (http://www.pacewildenstein.com/), ma diverse sue opere sono presenti anche Derriere l'Etoile Studios, sempre nella Grande Mela, e alla Gemini G.E.L. di Los Angeles (http://www.geminigel.com/). E' da prevedere un'imminente sbarco nel mercato d'arte europeo.
Etichette:
biennale di venezia,
murales,
pittura
Africa naïf
Chéri Samba, Le marché de l'art, olio su tela. Se n'è accorta anche la Biennale di Venezia: l'arte contemporanea africana è un fenomeno in fortissima ascesa che conquista sempre più interesse. Così, la 52° edizione della manifestazione d'arte dei giorni nostri più famosa al mondo (attualmente in corso) ha dedicato, con un interessante progetto sperimentale voluto dal curatore Robert Storr, un intero padiglione all'Africa, allo scopo di portare gli artisti più rappresentativi di questo continente sulla scena internazionale.
I segnali verso un interesse per la produzione artistica proveniente da quest'area geografica, a dire il vero, non sono una novità della Biennale. Importanti input vengono da altre entità culturali internazionali: già in Inghilterra e in Germania ci si è accorti da tempo del valore dell'arte africana. Ma lo spazio concesso dalla rassegna veneziana è una conferma di grandissima importanza.
Le modalità con cui la Biennale ha creato il suo "spazio Africa" sembrano già un simbolo della difficoltà di crescita e della voglia di riscatto del grande continente e sono, forse, il modo migliore per esporre questi artisti che parlano delle contraddizioni e della difficile situazione - ma non priva di speranza - del loro territorio. Storr ha promosso un concorso per la progettazione di uno spazio espositivo autofinanziato rappresentativo della situazione attuale - artistica e umana - dell'Africa. E' stato scelto il progetto di Fernando Alvim e Simon Njami, che hanno portato a Venezia i quadri della Sindika Dokolo African Collection of Contemporary Art (http://www.sindikadokolofoundation.org/) di Luanda (Angola).
I riconoscimenti della Laguna alla creatività africana, in questa edizione 2007, non si fermano però qui. Il Leone d'Oro alla carriera è stato assegnato, per la prima volta, ad un africano: Malick Sibidé, pittore e musicista proveniente dal Mali. Si tratta anche in questo caso di una conferma del fatto che l'arte del Continente Nero va assolutamente tenuta in grande considerazione.
La crescita di questi artisti sul piano internazionale è, infatti, impressionante. L'Europa, negli ultimi anni, ha ospitato numerosissime mostre dedicate a questo filone creativo. E proprio in Europa, più precisamente a Ginevra, si trova la più grande collezione esistente al mondo di opere d'arte contemporanee di artisti africani: la Contemporary African Art Collection (http://www.caacart.com/).
Creata 15 anni fa dal collezionista italiano Jean Pigozzi e curata da André Magnin, la CAAC comprende alcune migliaia di pezzi ed è un nucleo attivo nella promozione dell'arte africana contemporanea, attraverso la produzione di mostre, eventi e pubblicazioni.
Il più grande successo realizzato, fino a questo momento, dalla CAAC è senza dubbio l'esposizione "Popular Painting" from Kinshasa, in corso al quinto piano della Tate Modern di Londra (http://www.tate.org.uk/modern/) dal 28 marzo 2007 al 1° marzo 2008. Espongono qui cinque artisti della cosiddetta School of Popular Painting, il movimento pittorico costituito alla metà degli anni Settanta dal pittore nato in Congo nel 1956 Chéri Samba - uno dei principali esponenti della pittura africana - a cui si sono aggiunti Moke (1950-2001), Chéri Chérin (n. 1955), Bodo (n. 1953) e Cheik Ledy (1962-1997), fratello minore di Chéri Samba.
La mostra attualmente visibile nelle sale progettate da Herzog&De Meuron, e che fa parte della grande esposizione UBS Openings: Tate Modern Collection, è la prima rassegna dedicata ad artisti che sono nati e che lavorano in Africa e che, quindi, ne rappresentano lo spirito più intimo e incontaminato. Questo evento sta portando alla ribalta Chéri Samba, Chéri Chérin e colleghi e ne sta facendo salire alle stelle le quotazioni sul mercato.
Un esempio per tutti. Negli ultimi sei anni le sue stime sul mercato si sono quintuplicate e oggi i suoi dipinti su carta valgono almeno 2.000 euro, quelli su tela dai 6.000 (piccolo formato) o 10.000 euro in su (medio formato). Le opere migliori raggiungono prezzi almeno tre volte più alti. Il top lot personale di Chéri Samba è stato raggiunto alla casa d'aste Calmels Cohen di Parigi il 9 giugno 2005: si tratta del quadro L'espoir fait vivre, venduto per circa 47.000 dollari. Aprés le 11 Septembre, 2001 è stato, invece, acquistato per 35.000 dollari. Le sue opere sono reperibili presso la galleria che lo rappresenta, la Peter Herrmann di Berlino (http://galerie-herrmann.com/).
Ed è in arrivo un altro grande evento di portata internazionale destinato ad accendere i riflettori sugli artisti contemporanei provenienti dal Continente Nero, proposti dalla collezione Pigozzi. Dal 6 ottobre fino al 3 febbraio al Lingotto di Torino si terrà la mostra Why Africa?, negli spazi della Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli.
Ma quali sono le peculiarità contenutistiche e stilistiche di questa classe pittorica che, dopo Gran Bretagna e Germania, sta conquistando anche l'Italia? E' un'Africa corrotta, povera, violenta quella rappresentata dai nuovi artisti africani, un continente pieno di contraddizioni, ma che non rinuncia alla sua allegria e alla sua fantasia. Si crea, così, un duplice piano nei quadri di Samba, Chérin, Ledy, ecc.: i soggetti parlano, molto spesso, di situazioni drammatiche, di sanguinosi fatti di cronaca e soprattutto di spregevoli situazioni politiche costruite dall'ingiustizia, dalla corruzione e dalla violenza. Tutto questo, però, invece che con toni cupi e pessimisti, è dipinto con tinte solari e brillanti, con le linee semplici e le forme "ingenue" tipiche della pittura naïf. Non c'è modo migliore per esprimere figurativamente ciò che è oggi l'Africa: la sua situazione politica e lo spirito innato della sua popolazione.
I quadri della School of Popular Painting trattano di povertà, fame, malattie, AIDS, costumi popolari, ingiustizia, differenze sociali, incidenza dei media, cronaca nera. E, naturalmente, tanta politica, trattata con i toni ironici e provocatori della semplicità naïf.
La situazione politica è il tema prediletto di Chéri Chérin (vero nome Joseph Kinkonda), che vive e lavora nel quartiere Ndjili a Kinshasa. L'impronta della cultura popolare dei suoi quadri viene dai suoi lavori giovanili per manifesti e murales, che realizzava nella sua città natale mentre frequentava l'Academie des Beaux Arts di Kinshasa.
Ma c'è anche il mercato dell'arte - che pure li ha resi celebri - nelle mire di questi artisti. Chéri Samba, ad esempio nel dipinto Le marché de l'art, non risparmia critiche a quel meccanismo economico spesso velato di puro cinismo e opportunismo, capace di creare illusioni e trasformare un pittore in una sorta di star.
E star, o quasi, possono ormai considerarsi Chèri Samba, Chéri Chérin, Moke, Bodo e Cheik Ledy, grazie all'azione di collezionisti e curatori che hanno compreso il valore del loro messaggio e la potenza espressiva del loro linguaggio pittorico. Ma la CAAC di Jean Pigozzi ha ancora in serbo numerosi prodotti made in Africa di grande interesse, che possono salire la scala del mercato nei prossimi tempi.
George Lilanga (Tanzania) crea nelle due e nelle tre dimensioni le sue figurine dipinte con colori shoking, così buffe e grottesche nella loro connotazione moderna. Zinsou presenta una pittura "infantile" che lo somigliare ad una sorta di Basquiat, mentre i grassi personaggi del keniota Richard Onyango richiamano quelli di Fernando Botero.
Ma c'è spazio anche per i sentimenti più tradizionali nella nuova pittura africana. L'etiope Gedewon dipinge talismani con figure e poesie, mentre la sudafricana Esther Mahlangu realizza composizioni geometriche dai colori brillanti e dalle forme tipicamente tradizionali.
Figure ironiche e naïf popolano anche il settore scultoreo. Tra gli esponenti principali ci sono John Goba, Emile Guebehi e Nicolas Damas. Le statuette mobile di Efiaimbelo sembrano souvenirs, mentre Bodys Isek Kingelez realizza modelli con carta, cartone e plastica e Titos Mabota utilizza materiali di recupero.
Infine, un certo rilievo, quantomeno come testimonianza dello spirito africano, è da attribuire anche alla fotografia del Continente Nero. Depara, Malick Sibide e Sydou Keita con i loro scatti rétro in bianco e nero restano di particolare interesse.
I segnali verso un interesse per la produzione artistica proveniente da quest'area geografica, a dire il vero, non sono una novità della Biennale. Importanti input vengono da altre entità culturali internazionali: già in Inghilterra e in Germania ci si è accorti da tempo del valore dell'arte africana. Ma lo spazio concesso dalla rassegna veneziana è una conferma di grandissima importanza.
Le modalità con cui la Biennale ha creato il suo "spazio Africa" sembrano già un simbolo della difficoltà di crescita e della voglia di riscatto del grande continente e sono, forse, il modo migliore per esporre questi artisti che parlano delle contraddizioni e della difficile situazione - ma non priva di speranza - del loro territorio. Storr ha promosso un concorso per la progettazione di uno spazio espositivo autofinanziato rappresentativo della situazione attuale - artistica e umana - dell'Africa. E' stato scelto il progetto di Fernando Alvim e Simon Njami, che hanno portato a Venezia i quadri della Sindika Dokolo African Collection of Contemporary Art (http://www.sindikadokolofoundation.org/) di Luanda (Angola).
I riconoscimenti della Laguna alla creatività africana, in questa edizione 2007, non si fermano però qui. Il Leone d'Oro alla carriera è stato assegnato, per la prima volta, ad un africano: Malick Sibidé, pittore e musicista proveniente dal Mali. Si tratta anche in questo caso di una conferma del fatto che l'arte del Continente Nero va assolutamente tenuta in grande considerazione.
La crescita di questi artisti sul piano internazionale è, infatti, impressionante. L'Europa, negli ultimi anni, ha ospitato numerosissime mostre dedicate a questo filone creativo. E proprio in Europa, più precisamente a Ginevra, si trova la più grande collezione esistente al mondo di opere d'arte contemporanee di artisti africani: la Contemporary African Art Collection (http://www.caacart.com/).
Creata 15 anni fa dal collezionista italiano Jean Pigozzi e curata da André Magnin, la CAAC comprende alcune migliaia di pezzi ed è un nucleo attivo nella promozione dell'arte africana contemporanea, attraverso la produzione di mostre, eventi e pubblicazioni.
Il più grande successo realizzato, fino a questo momento, dalla CAAC è senza dubbio l'esposizione "Popular Painting" from Kinshasa, in corso al quinto piano della Tate Modern di Londra (http://www.tate.org.uk/modern/) dal 28 marzo 2007 al 1° marzo 2008. Espongono qui cinque artisti della cosiddetta School of Popular Painting, il movimento pittorico costituito alla metà degli anni Settanta dal pittore nato in Congo nel 1956 Chéri Samba - uno dei principali esponenti della pittura africana - a cui si sono aggiunti Moke (1950-2001), Chéri Chérin (n. 1955), Bodo (n. 1953) e Cheik Ledy (1962-1997), fratello minore di Chéri Samba.
La mostra attualmente visibile nelle sale progettate da Herzog&De Meuron, e che fa parte della grande esposizione UBS Openings: Tate Modern Collection, è la prima rassegna dedicata ad artisti che sono nati e che lavorano in Africa e che, quindi, ne rappresentano lo spirito più intimo e incontaminato. Questo evento sta portando alla ribalta Chéri Samba, Chéri Chérin e colleghi e ne sta facendo salire alle stelle le quotazioni sul mercato.
Un esempio per tutti. Negli ultimi sei anni le sue stime sul mercato si sono quintuplicate e oggi i suoi dipinti su carta valgono almeno 2.000 euro, quelli su tela dai 6.000 (piccolo formato) o 10.000 euro in su (medio formato). Le opere migliori raggiungono prezzi almeno tre volte più alti. Il top lot personale di Chéri Samba è stato raggiunto alla casa d'aste Calmels Cohen di Parigi il 9 giugno 2005: si tratta del quadro L'espoir fait vivre, venduto per circa 47.000 dollari. Aprés le 11 Septembre, 2001 è stato, invece, acquistato per 35.000 dollari. Le sue opere sono reperibili presso la galleria che lo rappresenta, la Peter Herrmann di Berlino (http://galerie-herrmann.com/).
Ed è in arrivo un altro grande evento di portata internazionale destinato ad accendere i riflettori sugli artisti contemporanei provenienti dal Continente Nero, proposti dalla collezione Pigozzi. Dal 6 ottobre fino al 3 febbraio al Lingotto di Torino si terrà la mostra Why Africa?, negli spazi della Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli.
Ma quali sono le peculiarità contenutistiche e stilistiche di questa classe pittorica che, dopo Gran Bretagna e Germania, sta conquistando anche l'Italia? E' un'Africa corrotta, povera, violenta quella rappresentata dai nuovi artisti africani, un continente pieno di contraddizioni, ma che non rinuncia alla sua allegria e alla sua fantasia. Si crea, così, un duplice piano nei quadri di Samba, Chérin, Ledy, ecc.: i soggetti parlano, molto spesso, di situazioni drammatiche, di sanguinosi fatti di cronaca e soprattutto di spregevoli situazioni politiche costruite dall'ingiustizia, dalla corruzione e dalla violenza. Tutto questo, però, invece che con toni cupi e pessimisti, è dipinto con tinte solari e brillanti, con le linee semplici e le forme "ingenue" tipiche della pittura naïf. Non c'è modo migliore per esprimere figurativamente ciò che è oggi l'Africa: la sua situazione politica e lo spirito innato della sua popolazione.
I quadri della School of Popular Painting trattano di povertà, fame, malattie, AIDS, costumi popolari, ingiustizia, differenze sociali, incidenza dei media, cronaca nera. E, naturalmente, tanta politica, trattata con i toni ironici e provocatori della semplicità naïf.
La situazione politica è il tema prediletto di Chéri Chérin (vero nome Joseph Kinkonda), che vive e lavora nel quartiere Ndjili a Kinshasa. L'impronta della cultura popolare dei suoi quadri viene dai suoi lavori giovanili per manifesti e murales, che realizzava nella sua città natale mentre frequentava l'Academie des Beaux Arts di Kinshasa.
Ma c'è anche il mercato dell'arte - che pure li ha resi celebri - nelle mire di questi artisti. Chéri Samba, ad esempio nel dipinto Le marché de l'art, non risparmia critiche a quel meccanismo economico spesso velato di puro cinismo e opportunismo, capace di creare illusioni e trasformare un pittore in una sorta di star.
E star, o quasi, possono ormai considerarsi Chèri Samba, Chéri Chérin, Moke, Bodo e Cheik Ledy, grazie all'azione di collezionisti e curatori che hanno compreso il valore del loro messaggio e la potenza espressiva del loro linguaggio pittorico. Ma la CAAC di Jean Pigozzi ha ancora in serbo numerosi prodotti made in Africa di grande interesse, che possono salire la scala del mercato nei prossimi tempi.
George Lilanga (Tanzania) crea nelle due e nelle tre dimensioni le sue figurine dipinte con colori shoking, così buffe e grottesche nella loro connotazione moderna. Zinsou presenta una pittura "infantile" che lo somigliare ad una sorta di Basquiat, mentre i grassi personaggi del keniota Richard Onyango richiamano quelli di Fernando Botero.
Ma c'è spazio anche per i sentimenti più tradizionali nella nuova pittura africana. L'etiope Gedewon dipinge talismani con figure e poesie, mentre la sudafricana Esther Mahlangu realizza composizioni geometriche dai colori brillanti e dalle forme tipicamente tradizionali.
Figure ironiche e naïf popolano anche il settore scultoreo. Tra gli esponenti principali ci sono John Goba, Emile Guebehi e Nicolas Damas. Le statuette mobile di Efiaimbelo sembrano souvenirs, mentre Bodys Isek Kingelez realizza modelli con carta, cartone e plastica e Titos Mabota utilizza materiali di recupero.
Infine, un certo rilievo, quantomeno come testimonianza dello spirito africano, è da attribuire anche alla fotografia del Continente Nero. Depara, Malick Sibide e Sydou Keita con i loro scatti rétro in bianco e nero restano di particolare interesse.
Etichette:
arte africana,
biennale di venezia,
Emergenti,
mostre,
pittura
giovedì 16 agosto 2007
Amy Adler: neopop
Fra le giovani pittrici più quotate sul mercato internazionale c'è sicuramente Amy Adler. Artista favorita da cantanti, attori e altri personaggi del jet-set d'oltreoceano, la Adler è specializzata in ritratti che esegue con una tecnica particolare: prima ritrae i suoi soggetti con pastelli colorati su fondo scuro. Poi il disegno viene fotografato e, quindi, eliminato. L'opera di Amy Adler consiste, infine, in un cibachrome del disegno iniziale.
A. Adler, Different Girl, cibachrome, 2000-2001.
Con questa tecnica l'artista riesce a dare un'impronta più contemporanea e patinata alle sue immagini che, spesso, si rifanno alle pose e alle espressioni tipiche del mondo della pubblicità. La Adler, infatti, ha iniziato prendendo spunto per i suoi disegni proprio dalle immagini che la circondavano: cartelloni pubblicitari, locandine di film, riviste, videoclip, copertine di CD; tutti i simboli figurativi, insomma, dell'epoca moderna. Nel suo carnet ci sono ritratti di Jodie Foster, Anna Kournikova, Angelina Jolie, Britney Spears e la serie dedicata alla star del cinema Leonardo Di Caprio, con cui ha prodotto una mostra che l'ha resa celebre in tutto il mondo.
Più recentemente, la sua pittura si è fatta più introspettiva, i suoi soggetti più intimi e delicati e la Adler ha prediletto il semplice disegno a pastello su tela. Si affida spesso alla delicatezza del tono su tono, sperimentando colori tenui e leggeri come nella serie dedicata alla cantante Amy Cook (2006) o più brillanti come nella serie The Rainbow Hour (2005-06). Ma il suo lavoro ha vissuto anche una fase più trasgressiva con i dipinti della serie Virgin Suicide, esposti nel 2004 alla Taka Ishii Gallery di Tokyo.
Americana nata a New York nel 1966, Amy Adler oggi vive e lavora principalmente a Los Angeles, mentre a San Diego, all'Università della California, occupa la cattedra di professore associato di Arti Visive.
La sua carriera artistica è tutta in ascesa. Dal 1998 - anno in cui si è imposta all'attenzione della critica e del mercato grazie alla mostra Focus Series: Amy Adler ospitata dal Museum of Contemporary Art di Los Angeles - le sue quotazioni non hanno smesso di salire, grazie alle numerose collettive a cui ha partecipato in gallerie di tutto il mondo, nonché alle personali che le sono state dedicate a New York, Los Angeles, Berlino, Londra, Milano, Atene e Tokyo.
La Adler è sbarcata in Italia e ha iniziato a conquistare numerosi consensi nel nostro paese a partire dal 2001, quando la No Limits Gallery di Milano ha proposto al pubblico italiano le Different Girls di un'ormai famosa serie di cibachrome in cui la disegnatrice americana ha fermato le immagini di ragazze "copiate" da annunci pubblicitari, sequenze cinematografiche, immegini televisive, booklet di CD.
La sua fama in Italia è, poi, decollata grazie alla mostra curata dal celebre critico Jeffrey Deitch al Castello di Rivoli (Torino) dal titolo Form Follows Fiction. Allora le sue opere arrivavano a costare intorno ai 15.000 euro, ma grazie a questi e ad altri importanti trampolini di lancio le quotazioni della Adler si sono moltiplicate più volte.
Negli ultimi due anni i ritratti dell'artista americana sono stati esposti al Museum of Contemporary Art di San Diego e al The Aspen Art Museum.
In Italia l'artista è trattata dalla galleria d'arte di Massimo De Carlo a Milano (http://massimodecarlo.it/). Nel resto del mondo sue gallerie di riferimento sono la Acme di Los Angeles (http://www.acmelosangeles.com/), la Taka Ishii di Tokyo (http://www.takaishiigallery.com/) e la Galerie c/o Atle Gerhardsen di Berlino (http://www.atlegerhardsen.com/).
Sito web ufficiale: http://www.amyadler.com/.
Etichette:
fotografia,
Gallerie d'arte,
pittura,
ritratti
Iscriviti a:
Post (Atom)